“L’impresa di famiglia oltre le generazioni”
Pregi e difetti delle aziende a carattere familiare. Se ne è parlato a un recente convegno promosso dalla Fondazione Trentino Università.
ALESSANDRO DE BERTOLINI
“Nel nostro Paese, secondo l’Associazione italiana delle imprese familiari (Aidaf), l’83% delle piccole e medie aziende – spiega Guido Feller, del gruppo Banca Esperia – è controllato da una famiglia, mentre nella classifica delle prime cento società per fatturato, 42 sono tramandate di padre in figlio”.
L’imprenditoria italiana ha nell’impresa di famiglia una tra le sue compagini più audaci. Ma come garantire il successo dell’azienda familiare di fronte alla complessità del mercato globale? Come tutelare il patrimonio di famiglia, prevenire i momenti di crisi dell’impresa, monitorare il passaggio generazionale, assicurare continuità e dotarsi di una governance efficiente?
Su tali questioni si sono interrogati a Rovereto, lo scorso 5 marzo nella sala conferenze del Mart, Walter Zocchi del Centro studi sull’impresa di famiglia “Di padre in figlio” dell’Università di Luiss-Roma (“Impresa di famiglia e creazione di valore”), la Governance consulting Susanna Stefani (“La governance delle imprese di famiglia”), il Presidente della Fondazione Trentino Università Michele Andreaus (“Le crisi dell’impresa di famiglia e il passaggio generazionale”),
l’Amministratore Delegato del gruppo Banca Esperia Guido Feller (“La protezione dell’impresa e del patrimonio di famiglia”) e il presidente di Alto Partners Stefano Scarpis (“Il ruolo del Private equity nella continuità dell’impresa di famiglia”). Moderato dal giornalista del “Sole-24 Ore” Claudio Pasqualetto, l’incontro ha visto la partecipazione alla tavola rotonda conclusiva di Michele Poli del Gruppo Poli, Antonello Briosi di MetalSistem e Claudio Puerari, Direttore Generale della Banca di Trento e Bolzano.
Le relazioni, numerose, hanno fotografato il modello italiano dell’azienda familiare riflettendo su virtù e punti deboli. Sono emerse anzitutto alcune smentite e qualche conferma rispetto a certe affermazioni di senso comune. Non è vero che le imprese familiari siano di piccole dimensioni. Non è sempre vero, come si crede, che l’imprenditore dell’azienda familiare sia sempre garanzia di stabilità. È invece spesso vero, come si è soliti pensare, che la prima generazione fa l’azienda, la seconda la mantiene e la terza la distrugge.
“Oltre l’80% delle imprese di famiglia sia in Asia, sia in Usa, sia in Europa – spiega Walter Zocchi – chiudono alla terza generazione”. Zocchi si è interrogato sulle cause di questi dati soffermandosi in modo particolare sulla capacità delle aziende di famiglia di creare valore.
“Non è sempre detto – continua – che l’azienda di famiglia sia in grado di creare valore. Anzi, se osserviamo la situazione del nostro Paese, il panorama è piuttosto nuvoloso. La maggior parte delle aziende di famiglia cessano l’attività per cause non legate a ragioni legali e fiscali, ma per cattiva gestione delle informazioni e delle comunicazioni, per il mancato rispetto dei ruoli di amministratore, azionista e manager, per una scarsa regolamentazione dell’ingresso e del trattamento dei familiari in azienda. Proprio questi sono gli elementi che diminuiscono la capacità di creare valore in azienda”.
Sottolineando l’importanza del concetto di “family business”, ovvero il rapporto tra famiglia, azienda di famiglia e imprenditore, Zocchi ha richiamato l’attenzione sullo stato attuale della conoscenza del mondo delle imprese familiari e sull’efficienza delle azioni intraprese dai loro attori. Dell’importanza del rispetto delle regole, in una prospettiva orientata alla gestione dell’azienda attraverso un team di governance, ha invece parlato Susanna Stefani, che ha rimarcato la necessità, proprio attraverso tale team, di “disciplinare con regole precise i rapporti fra il manager e gli altri componenti”.
In tutti i casi in cui “parliamo di impresa di famiglia in perdita o in crescita – spiega – il tema della governance è sempre sullo sfondo”. Ma in che cosa consiste, precisamente, una buona governance? “Se i manager riescono a far muovere bene la macchina organizzativa, ciò accade perché a monte del loro operare ci sono un cuore e una mente e una torre di guardia: ecco, questa è la governance. Per questo sono convinta che l’impresa a conduzione familiare debba passare il più possibile da una condizione di autonomia gestionale, nella quale perlopiù si trova, a una situazione ove sia presente un team di governance”.
Sulle ragioni della crisi è poi intervenuto Michele Andreaus, raccogliendo il punto di vista dell’Università di Trento. “Intendiamo con questo convegno – ha spiegato a nome della Fondazione Trentino Università, promotrice dell’incontro – avvicinare il mondo degli studiosi a quello dell’impresa, fornendo agli imprenditori nuovi strumenti di indagine legati anche alle dinamiche dell’economia del territorio. Proprio le caratteristiche tipiche dell’impresa di famiglia sono tali da esporla talvolta alla crisi. Per esempio, le aziende di famiglia che perpetuano un tipo di gestione ripetitiva dell’azienda sono destinate alla crisi. Ma ciò vale anche per i casi in cui le “forme di governo” sono troppo semplici, dove tutto è in mano all’imprenditore e l’azienda tende a diventare autoreferenziale, dove manca un confronto con l’esterno o quando i figli, spinti a entrare nella gestione d’impresa, non sono preparati o mostrano scarsa convinzione”.
Ma come deve essere il buon imprenditore di famiglia? “Orgoglioso sì – continua Andreaus – ma anche modesto. Deve sapersi spingere fino dove sa e saper delegare dove non sa”.
Il contesto italiano, in questo senso, lascia ben sperare. Nella classifica della aziende più longeve al mondo l’Italia possiede una forte rappresentanza. “Delle 15 aziende al mondo che hanno più di 500 anni di vita – fa notare Guido Feller – ben 8 sono italiane. La situazione generale del nostro Paese consente alle aziende di essere longeve. Ma quello che conta è che l’imprenditore sappia gestire il patrimonio di famiglia nel segno della continuità”.
Il passaggio generazionale, uno tra i momenti critici toccati di striscio anche da Andreaus, è per Feller uno snodo fondamentale. Amministratore delegato di Banca Esperia e per professione abituato a misurarsi con la “protezione dell’impresa” e la “tutela del patrimonio di famiglia”, Feller ha illustrato gli strumenti che la famiglia utilizza per gestire il proprio patrimonio nei confronti delle generazioni future.
“Tra conservazione e sviluppo del patrimonio di famiglia – aggiunge – deve potersi creare un’armonia che sappia garantire la continuità dell’impresa”. Sullo strumento del “trust”, come una sorta di “patto di famiglia”, Feller ha infine fatto il punto nei particolari dell’istituto economico-giuridico.
Dopo un ampio quadro sui vizi e le virtù di un’“entità viva” quale è stata definita l’impresa di famiglia, Stefano Scarpis ha riportato l’esperienza di “Alto Partners”, società di private equity che si impegna nell’affiancare in fase di sviluppo, fornendo strumenti finanziari e nuovi capitali, determinate imprese familiari che presentano un’elevata e prevedibile capacità di crescita. Scarpis si è soffermato su due esperienze in particolare, rispettivamente del 2001 e del 2005, con le operazioni di private equity a sostegno di “Piquadro” e “Coccinelle”, due società operanti nel settore della pelletteria.
“Scegliamo di appoggiare una certa impresa – ha spiegato Scarpis – e operiamo con aumenti di capitale finalizzati alla crescita dell’azienda. Una società di private equity inserisce sempre un paio di persone nel consiglio di amministrazione dell’azienda a cui si rivolge, cercando di coordinare le scelte dell’imprenditore e di affiancarlo nelle risorse e nelle strategie finanziarie. Diventiamo così dei traghettatori che permettono all’azienda familiare di conoscere una crescita importante. Lavoriamo soprattutto nel Triveneto, in Emilia Romagna e in Lombardia imprimendo una forte accelerazione alle imprese che decidiamo di seguire spesso portandole fino alla quotazione in borsa”.
Al termine delle relazioni, il convegno si è concluso con una tavola rotonda a cui hanno preso parte alcuni esponenti del mondo trentino delle imprese e del credito.
“Le nuove prospettive che si aprono oggi per le piccole e medie imprese – ha commentato Antonello Briosi – offrono un ventaglio di possibilità. Ma dobbiamo saperle cogliere. Dobbiamo sapere aprire le nostre aziende ai capitali, alle aggregazioni, alle fusioni vere, ai nuovi strumenti che offre il mercato finanziario. L’apertura deve essere totale».
L’indicazione di Briosi è orientata al passaggio di testimone tra generazioni. «Questa apertura – ha proseguito – sarà utile anche per i nostri figli, poiché ci consentirà di gestire meglio il passaggio generazionale in azienda. L’insegnamento che posso dare è tutto qua. La rigidità ci danneggia. É necessario saper guardare al di fuori dei nostri confini poiché oggi, vendere in Francia o in Gran Bretagna o in Austria, non significa più vendere all’estero, ma significa vendere in casa propria”.
FONTE: CONFINDUSTRIA TRENTO